Inclusività sotto accusa
In un decreto di metà Gennaio, intitolato “Regolamento per la valutazione medica dell'invalidità per le pensioni non contributive", il presidente dell'Argentina ha riabilitato l’uso di termini offensivi per le persone con disabilità intellettive. Tali termini, presenti in un decreto del 1988, erano stati eliminati per allinearsi agli standard internazionali.
Il decreto, definito “oltraggioso” e “vergognoso”, ha suscitato e suscita ancora adesso numerose polemiche, amplificate da dichiarazioni del presidente Trump sull’incidente aereo del 29 gennaio. Il presidente argentino Milei ha difeso l’uso di tali termini, sostenendo che bisogna “chiamare le cose con il loro nome”. Diverse organizzazioni, tra cui Acij e ASDRA, hanno chiesto l’abrogazione del decreto. L'ANDIS (Agenzia nazionale della disabilità) ha poi affermato che si tratta di un “errore”, ma il decreto rimane in vigore. Pressioni della società civile potrebbero portare a future modifiche.

Ci siamo chiesti quindi nel frattempo cosa succede in Italia: il nostro Paese è diventato molto più sensibile alla tutela delle persone con disabilità, eppure rimangono tuttora dei nodi da sciogliere. Molti parlano di un certo “mito dell’inclusività”, primo tra tutti Ernesto Galli della Loggia in un articolo del Corriere della sera, che ha criticato la natura inclusiva della scuola, in cui convivono “accanto ad allievi cosiddetti normali”, ragazzi disabili anche gravi, ragazzi con BES e ragazzi stranieri “incapaci di spiccicare una parola in italiano”.
Conclude sottolineando come “il risultato già lo conosciamo”, alludendo ad un aspetto negativo della situazione. Queste parole sicuramente colpiscono per il modo in cui si rivolge agli studenti con difficoltà, trattandoli con una durezza che sorprende, proprio come ha fatto il presidente Milei, e i pensieri che emergono dai loro discorsi lasciano un sapore amaro in bocca, soprattutto a chi continua a lottare per l’inclusività, sia a scuola che al di fuori di essa.
Luca Trovò e Arianna Meregalli
