La verità nascosta dietro il tuo piatto

Un argomento molto dibattuto al giorno d’oggi è quello degli allevamenti intensivi. Questa tematica raggruppa attorno a sé una serie di macro argomenti che hanno mosso diversi movimenti sociali che si oppongono a questa pratica di produzione.
E’ impossibile approfondire tutti gli argomenti che ruotano attorno agli allevamenti, dunque, con lo scopo di sensibilizzarvi, tratteremo i temi principali, ossia: l’inquinamento, la parte etica e la sfera inerente all'impatto sulla salute.
“Possiamo definire “l'allevamento intensivo” come una forma di allevamento che utilizza tecniche industriali e scientifiche per ottenere la massima quantità di prodotto al minimo costo e utilizzando il minimo spazio, tipicamente con l'uso di appositi macchinari e strutture.” - Wikiversiti.org
Al giorno d’oggi non facciamo altro che sentir parlare di inquinamento, purtroppo però, i nostri sforzi impiegati tra raccolta differenziata, docce veloci e fare la spesa senza plastica non danno i risultati sperati. Questo perché i governi mondiali e le aziende che finanziamo con le nostre tasse continuano a pensare al profitto dell'industria degli allevamenti intensivi, un’industria redditizia e distruttiva, piuttosto che al nostro futuro.
L’impatto ambientale che questo sistema ha è indescrivibile. Basti pensare che secondo la Food and Agriculture Organization (FAO), il 14,5% delle emissioni di gas serra globali provengono dagli allevamenti intensivi, che è un numero altissimo se pensiamo che è più di quella che produce l’industria dei trasporti.
Questi, contenendo ammoniaca (NH₃), reagiscono con l’ossigeno nell’aria, formando microparticolato dannoso per l’atmosfera e per la salute umana.
Uno dei principali fattori inquinanti legati a questi allevamenti sono i reflui zootecnici. Questi, contenendo ammoniaca (NH₃), reagiscono con l’ossigeno nell’aria, formando microparticolato dannoso per l’atmosfera e per la salute umana.
Inoltre, quando i liquami vengono trattati e utilizzati come fertilizzanti agricoli, il loro eccessivo impiego può penetrare nei terreni limitrofi e poi defluire nei corpi idrici superficiali, favorendo l’eutrofizzazione con conseguenti danni agli ecosistemi acquatici. Da non trascurare è anche l’impatto delle emissioni di metano (CH₄) prodotte dall’allevamento di bovini, responsabile del 40% delle emissioni globali di questo gas. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il metano, pur avendo una permanenza inferiore nell’atmosfera rispetto all’anidride carbonica, ha un potere climalterante 80 volte maggiore su un arco di 20 anni.
Un’altra forma di inquinamento altamente impattante, è la deforestazione dei campi destinati alla coltivazione di soia, utilizzata per i mangimi negli allevamenti intensivi. In base a quanto menzionato da Animal Equality, gli allevamenti sono responsabili dell’80% della deforestazione in Brasile. Vi basti pensare che un albero viene abbattuto ogni 21 secondi! Semmai ve lo steste chiedendo, solo il 20% della produzione globale di soia è riservato al consumo umano. Questa pratica rende i campi inutilizzabili una volta sfruttati al massimo e distrugge interi ecosistemi.
I provvedimenti presi riguardo gli allevamenti intensivi non ci fanno per nulla sperare: né il Parlamento Europeo né eventi come la COP29, vogliono riconoscere e affrontare il problema. In aggiunta, il Parlamento Europeo non ha una definizione di allevamento intensivo e come affermato dalla giornalista Giulia Innocenzi: “questo permette alle aziende di continuare a giostrarsi e ci sono perfino politici che negano che nei loro Paesi ci siano allevamenti intensivi o che vengano finanziati coi soldi pubblici”.
Per quanto riguarda il discorso etico legato, si può dire che la vera dimostrazione del detto “non è tutto oro quel che luccica”, la si trova proprio sotto i nostri occhi ogni volta che ci rechiamo al supermercato.
Le pubblicità che guardiamo tutti i giorni ci hanno illuso, facendoci credere che gli animali da cui deriva il cibo che mangiamo pascolino tutto il giorno eppure non è così.
Con l’introduzione degli allevamenti intensivi i prezzi sono calati sempre di più fino a permettere a chiunque di avere prodotti animali ogni settimana, se non ogni giorno; eppure bisognerebbe domandarsi come sia possibile rendere i prezzi accessibili a tutti quando prima non era possibile. Questo calo di prezzi è dovuto, innanzitutto, alle condizioni pessime a cui gli animali sono sottoposti e alle mancate spese necessarie per la cura e l’abbattimento che, molto spesso, non sono soggette a controlli o norme, come riportato anche da slowfood, un movimento volto a promuovere il diritto al cibo buono.
Molto spesso anche le etichette dei prodotti acquistati sono fuorvianti, come ad esempio quelli che fanno credere ai consumatori che gli animali vivano in libertà mentre questo nella maggior parte delle volte non avviene e gli animali sono raggruppati in capannoni senza nemmeno la possibilità di muoversi poiché il poco spazio non lo permette.
Per dare un’idea delle condizioni in cui versano gli animali all’interno degli allevamenti intensivi si prende in esame il caso delle galline e dei pulcini, a detta delle confezioni delle uova, allevati a terra.
Le immagini fornite da END THE CAGE AGE (un’iniziativa di cittadini europei volta a contrastare l’utilizzo di gabbie all’interno degli allevamenti intensivi) a Legambiente mostrano migliaia di galline ovaiole ammassate all’interno di capannoni lasciate in compagnia di cadaveri di altri animali che non vengono recuperati dagli addetti, i cadaveri entrano in contatto anche con i mangimi delle galline. Questo è uno dei motivi per cui all’interno degli allevamenti malattie e infezioni sono diffusissime, eppure gli animali sono lasciati in balia di se stessi senza alcuna cura o assistenza.
Le gabbie non vengono pulite adeguatamente lasciando le deiezioni degli animali a stretto contatto con le uova.
Non potendo nemmeno muoversi in modo naturale o raspare la terra, le galline si trovano in forti condizioni di stress che spesso portano all’aggressività che si manifesta, ad esempio, con episodi di cannibalismo o con la perdita di piume e cresta.
Il particolato atmosferico è l’insieme delle minuscole particelle sospese nell’aria che respiriamo quotidianamente. Molti lo conoscono con il nome di pulviscolo o di polvere sottile.
Indipendentemente da come lo chiamiamo, il particolato rappresenta una minaccia alla nostra salute. Nessuno immaginerebbe che qualcosa di così infinitamente piccolo e all’apparenza innocuo come il particolato atmpossa farci tanto male: prendere una bella boccata d’aria non dovrebbe rappresentare un grave pericolo per la nostra salute, anzi, è una buona abitudine. Eppure è una delle maggiori cause di problemi respiratori e cardiovascolari al mondo.
Il nostro piccolo nemico è prodotto dalle emissioni industriali, dal gas di scarico prodotto dai mezzi di trasporto, dalle polveri che si sollevano dalla strada e dallo sfregamento degli pneumatici sull’asfalto. Ma i maggiori produttori di particolato atmosferico sono, rullo di tamburi… i nostri cari allevamenti intensivi.
Sono responsabili di circa l’88% delle emissioni di ammoniaca in Lombardia e in Italia rappresentano la seconda causa di formazione del particolato sottile, superando addirittura le industrie.
Le polveri sottili causano soprattutto problemi alle vie respiratorie e al sistema cardiovascolare, come detto da Consulcesi in uno dei loro articoli che affrontano il problema. Peggiorano asma e bronchite, creando infiammazioni durante la loro permanenza nei nostri polmoni comportando anche la formazione di cancri. Il particolato atmosferico con dimensioni comprese tra i 10 e i 2,5 micron è stato classificato cancerogeno dall’AIRC stesso.
L’aria che respiriamo ha un forte impatto anche sui più giovani e sugli anziani, da sempre soggetti vulnerabili e a rischio.
Un’altra minaccia alla nostra salute è rappresentata dall’antibiotico resistenza, come illustra EssereAnimali.
Negli allevamenti intensivi si fa largo uso di antibiotici per promuovere la crescita degli animali e prevenire malattie, senza effettivamente pensare al risvolto negativo che rappresenta per la nostra salute e quella degli animali stessi. Il processo che porta i batteri a resistere a farmaci che in passato riuscivano a debellarli è noto come antibiotico resistenza. E’ una sorta di riorganizzazione militare da parte dei batteri, che si vedono costretti a mutare per cercare di sfuggire agli antibiotici creati per eliminarli.
Questi batteri diventati geneticamente più forti potrebbero essere dannosi sia per gli animali degli allevamenti sia per noi che consumiamo la loro carne o viviamo a stretto contatto con loro. La presenza di questi batteri multiresistenti è elevata soprattutto nelle filiere italiane che allevano polli destinati alla produzione di carne. Concludiamo con le parole del Ministero della Salute, che presentano al meglio il problema.
«Senza antibiotici efficaci potremmo tornare all’era pre-antibiotica, quando i trapianti di organi, la chemioterapia per il cancro, la terapia intensiva e tutte le altre procedure mediche, incluse alcune cure odontoiatriche, non sarebbero più possibili senza l’insorgenza di infezioni anche gravi. Le malattie batteriche si diffonderebbero e, non potendo più essere curate, causerebbero la morte».
In seguito alla lettura di questo articolo, speriamo di aver incuriosito il lettore ad approfondire l’argomento e diventare sempre più cosciente delle conseguenze che hanno le sue scelte alimentari sull’ambiente.
L'inquinamento dell'aria, del suolo e dell'acqua causato dagli allevamenti intensivi è una minaccia che non possiamo ignorare. Le condizioni in cui gli animali vivono e vengono trattati sono spesso disumane, con conseguenze dirette non solo sull'ecosistema, ma anche sulla nostra salute.
Comprendere a pieno le dinamiche e le pratiche dell’industria alimentare è la chiave al problema. La soluzione è davanti ai nostri occhi, ma se chi è al potere non vuole aprirli, tocca a noi farlo e anche in fretta.
Articolo scritto da Meregalli Arianna, Petrelli Giulia e Tremiterra Claudia.